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Il mondo ha fame. Di giustizia

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Il mondo ha fame, e ha sempre più fame. E’ questa la principale conclusione del rapporto sullo stato dell’insicurezza alimentare nel mondo, pubblicato il 13 luglio dalle Nazioni Unite. Il rapporto SOFI (State of Food Insecurity) è da molti anni la fonte più autorevole su quanti abitanti del nostro pianeta non hanno ogni giorno abbastanza da mangiare. Quest’anno la metodologia utilizzata rende impossibile fare un paragone diretto con i dati pubblicati negli anni scorsi; ma i dati oggi disponibili non fanno che confermare quello che già era noto, cioè che a partire dal 2014 il numero delle persone che si trovano in una situazione di insicurezza alimentare sta aumentando in termini numerici e in proporzione sulla popolazione mondiale. Sono circa 690 milioni le persone che nel 2019 vivevano la fame come realtà quotidiana, ovvero l’8,9% della popolazione mondiale. Si tratta di una quantificazione al ribasso rispetto a quanto calcolato negli anni passati: un cambiamento dovuto ad un miglioramento nella disponibilità dei dati (soprattutto per quanto riguarda la Cina), e a un miglioramento nelle metodologie utilizzate. Queste ultime però, per quanto autorevoli, rimangono sempre largamente opinabili e c’è il rischio che in passato abbiano addirittura sottostimato il fenomeno: come hanno argomentato autorevoli commentatori1, la realtà potrebbe essere ben peggiore. Ma anche con la cautela delle organizzazioni internazionali, colpisce vedere riconoscere che nel 2019 si sono superati i 2 miliardi di coloro che, secondo la definizione ufficiale, ‘…si trovano di fronte all’incertezza per quanto riguarda la loro capacità di ottenere cibo e sono stati costretti a scendere a compromessi sulla qualità e/o quantità del cibo consumato’’. Mangiare meno del necessario e mangiare cose che nutrono meno del necessario è una realtà che tocca il 25,9% della popolazione mondiale. Ed era il 22,4% della popolazione mondiale nel 2014. Si tratta di uno degli indicatori dell’SDG 2, quello che promette di eliminare la fame entro il 2030, ed è del tutto chiaro che tale obiettivo appare, ad essere ottimisti, come del tutto in discussione.

La diffusione del COVID19, e le misure di blocco adottate hanno reso questa situazione ancora più drammatica: secondo il rapporto SOFI, una valutazione preliminare suggerisce che la pandemia COVID-19 potrebbe aggiungere tra 83 e 132 milioni di persone al numero totale di denutriti nel mondo nel 2020 a seconda dello scenario di crescita economica. Ma c’è il rischio che, ancora una volta, tali stime raffigurino uno scenario assai meno preoccupante della realtà… come ha segnalato di recente la scrittrice e giornalista Arundhati Roy2, nella sola india dove prima della chiusura dovuta al COVID la disoccupazione era ai suoi massimi in 45 anni, si calcola che il lockdown sia costato 135 milioni di posti di lavoro. Scrive la Roy : “Milioni di lavoratori si sono trovati bloccati nelle città senza cibo, alloggio, soldi o mezzi di trasporto. L’esodo di persone traumatizzate e costrette a camminare centinaia di chilometri dalle città ai loro villaggi è cominciato il 25 marzo e oggi è diventato un diluvio. Private di dignità e speranza, queste persone hanno percorso centinaia di chilometri a piedi, in bicicletta, oppure ammassate illegalmente in camion privati, come se fossero merci. Hanno portato con sé il virus, diffondendolo nelle campagne più remote del paese. Molti sono morti di fame o di sfinimento, oppure in incidenti stradali. Per evitare la violenza della polizia mentre camminavano lungo le autostrade, hanno cominciato a muoversi lungo binari ferroviari. Dopo che 16 persone sono rimaste schiacciate da un treno merci, le forze dell’ordine hanno cominciato a pattugliare anche i binari. Oggi vediamo uomini e donne guadare i fiumi, sollevando i bagagli e i bambini. Vanno a casa, dove troveranno fame e disoccupazione. Assistiamo a resse per procurarsi da mangiare, vediamo fermate dell’autobus e stazioni ferroviarie (dove il distanziamento sociale è una barzelletta) prese d’assalto per provare a salire sui pochi treni e bus che il governo ha organizzato. Abbiamo solo una vaga idea dell’orrore”

Abbiamo solo una vaga idea dell’orrore che ha attraversato non solo l’India ma l’intero pianeta; quello degli ultimi e degli invisibili, le cui vite non sono contate dalle statistiche ufficiali. E’ forse ancora presto misurare il reale impatto di quanto è avvenuto, nei paesi del ‘sud globale’ ma anche nelle nostre società ricche e industrializzate. E’ la storia concreta delle persone rese sempre più fragili dal sistema economico di cui tutti siamo parte, a doverci guidare nella lettura delle stime, probabilmente assai conservative e prudenziali, contenute nel rapporto SOFI.

E come negli ultimi anni, con la fame aumenta l’obesità, in particolare quella degli adulti in tutte le regioni del mondo. Si tratta di una ‘piccola’ contraddizione, oppure di un sintomo preciso di una disfunzionalità del sistema? Si tratta di curare gli obesi come se si trattasse di una questione medica, oppure si tratta di riconoscere lo stretto legame tra nutrizione, ambiente, e sistema economico? I poveri sono costretti a comprare cibo di cattiva qualità, messo a disposizione da grandi compagnie, che producono senza pagare il costo delle esternalità di quanto producono, vale a dire degli effetti sull’ambiente e sulle persone: basterebbe chiedergli di pagare per questi costi (che altrimenti si scaricano sull’intera umanità) per offrire una prima e parziale risposta alle storture del sistema. Il rapporto SOFI offre un lucido riconoscimento di molte questioni inclusa la stretta connessione tra sistemi alimentari e ambiente e l’esistenza dei costi nascosti di ciò che mangiamo. Ammette anche che il costo di una dieta sana ed equilibrata è in molti paesi assolutamente superiore alla soglia di povertà così come viene calcolata convenzionalmente. Ma con questo non fa altro che porre in dubbio la validità di quella stessa soglia, se anche coloro che si trovano al di sopra della soglia di povertà assoluta non possono rispondere in modo adeguato ai propri bisogni essenziali in termini di cibo!

Accanto alla proposta di incentivare la produzione di cibo sano e nutriente manca però un chiaro riconoscimento delle cause strutturali di questi squilibri, in particolare del ruolo della finanza: come se possa essere già dimenticato il ruolo dei movimenti speculativi che causarono l’aumento del prezzo delle derrate agricole di base nel 2007-2008 e nel 2011-2012; e i drammatici effetti di una progressiva ‘finanziarizzazione’ della terra3. E con questo manca una netta presa di distanza dal sistema che continua a consumare le risorse del pianeta per produrre cibo spazzatura attraverso meccanismi funzionali a una sempre maggiore concentrazione del capitale finanziario: un passaggio necessario, se si vuole veramente cambiare direzione.

La fame non è stata causata dalla pandemia, ma quest’ultima rende ancora più evidenti le contraddizioni del mondo in cui viviamo. La fame non è causata dalla mancanza di cibo e di risorse, ma dalla loro iniqua distribuzione e dal loro cattivo uso: la vera riforma non è quella che punta all’indiscriminato aumento della produzione senza se e senza ma, ma è il cambiamento della gestione dei sistemi alimentari, la valorizzazione dei sistemi locali e del ruolo dell’agricoltura familiare e di piccola scala, che svolge un ruolo insostituibile di gestione sostenibile del territorio e che già oggi produce il 70% del cibo disponibile sul pianeta: ma sono proprio quei piccoli contadini che si trovano sempre più marginalizzati, espulsi dalla loro terra a causa dei sempre più diffusi fenomeni di ‘land grabbing’ e da un cambiamento tecnologico che rischia di rendere il cibo una pura ‘commodity’. Come ci ricorda Nora McKeon, intervistata da Avvenire in occasione del lancio della campagna4, “le persone, non gli individui consumatori, devono riappropriarsi del valore sociale, culturale, spirituale del cibo.”

Liberare il mondo dalla fame si può e si deve. Ma questo è un obiettivo raggiungibile solo attraverso percorsi di giustizia, il rispetto delle persone, la cura per il pianeta.


[1] Hickel, Jason, The divide: guida per risolvere la disuguaglianza globale, Milano, Il saggiatore, 2018.

[2] Roy, Arundhati, «Il distanziamento degli intoccabili», Internazionale, No 1360, 2020.

[3] Vedi il Cap. 1 ‘Food and Land’ in Sonkin, Flora, Stefano Prato (a cura di), Spotlight on financial justice. Understanding global inequalities to overcome financial injustice, Citizens for Financial Justice, 2019.

[4] Vedi link