E’ Natale: chiniamoci all’umanità

Il mistero cristiano del Natale, contemplato nei singoli aspetti che ne compongono il disegno, ci rivela lo stupefacente carattere della fede cristiana.

Noi vi celebriamo infatti la discesa del Figlio di Dio. Si parla di discesa non in ossequio a una visione del mondo superata, per cui Dio sta in alto e l’uomo in basso, ma secondo l’intuito di un padre della chiesa orientale, per cui Gesù discende perché accondiscende, opera un movimento che è nello stesso tempo di avvicinamento e di abbassamento, come è il gesto di un padre o di una madre che si avvicinano al figlio chinandosi per prenderlo tra le braccia. Gesù che si fa umano, si avvicina all’uomo, cioè a noi, chinandosi a raccogliere e a toccare ciò che gli è più estraneo e lontano: la nostra povertà umana, le nostre bassezze, le nostre paure, i nostri errori, ciò che in definitiva neanche noi accettiamo di noi stessi, ciò che non vorremmo avere ed essere, ciò che preferibilmente addossiamo agli altri in un desiderio di negazione e rifiuto. Con questo movimento Gesù svela la verità di Dio per noi, un Dio che si fa vicino, che si china per sollevarci alla sua guancia in un gesto eloquente di affetto paterno e materno.

Curiosamente il verbo italiano ‘chinarsi’ ha una casuale affinità sonora con un verbo greco che San Paolo attribuisce a Gesù e che indica un abbassarsi che è insieme uno svuotarsi, un non tener conto di sé, dei propri privilegi e delle proprie convenienze, uno svuotarsi che avviene per poter far posto a qualcun altro, per accogliere il più intimamente e interiormente possibile la differenza e la lontananza dell’altro e viverla  in una feconda sintesi con la propria identità. Così noi crediamo che Gesù diventa uomo senza perdere la sua realtà di Figlio di Dio.

Questo svuotarsi di Gesù trova nella fede cristiana la sua forma più visibile e scandalosa nella conclusione della vicenda terrena di Gesù: nella sua morte infamante in croce, dove Gesù rinuncia radicalmente a se stesso e ai suoi diritti pur di poter affermare, vivendo così la sua morte, che Dio, nella sua apparente ma tragica lontananza dall’uomo, in realtà, condivide in un amore senza confini il destino del figlio, destino di dolore, rifiuto e morte, che la storia degli uomini purtroppo continua a prolungare, e per fare questo abbandona la sontuosità e la retorica del tempio, strappa il velo che ne custodiva la trascendenza, e si adagia sulla croce accanto al figlio in un silenzio di partecipazione e condivisione, come si addice ai dolori estremi.

Celebrare la nascita di Gesù è dunque celebrare una religione, una immagine di Dio, un volto divino di accondiscendenza e di accoglienza dell’umano, che l’uomo non avrebbe potuto inventarsi. La verità di questo annuncio di un Dio che si fa vicino e che assume il peccato del mondo, sta tutta qui: quando l’uomo si vuole creare un Dio lo fa potente, immenso, fastoso, regale e nei riti che lo celebrano, quando sono altrettanto fastosi e regali, vede una proiezione di quel Dio, venerato più perché rappresenta per proiezione ciò che noi stessi vorremmo essere, che per la verità discreta della sua silenziosa vicinanza.

Il chinarsi di Dio su di noi, nella figura dell’uomo Gesù, svela tutto il suo senso nei vari significati che ha lo stesso gesto del chinarsi dell’uomo. Innanzitutto, come ho già accennato, fa pensare al quotidiano rapporto di un padre e di una madre con i figli piccoli. Chinarsi dice allora tutta la premura, l’affetto, il prendersi cura, l’attrarre a sé, il rendere vicino l’altro, il più debole e questo gesto si attua soprattutto davanti al pianto, alla stanchezza, al bisogno di contatto tenero e caldo di cui il bambino ha bisogno per poter crescere e per imparare a sua volta, quando sarà grande, a chinarsi a sua volta sui propri figli. Ma nella vita quotidiana ci si china anche per raccogliere qualcosa, per cercare l’oggetto perduto, per dare un posto a ciò che cadendo l’aveva perso. E’ ancora un gesto di cura, un gesto di riammissione, un riconoscimento del posto dovuto.

Celebrare il natale di Gesù è allora riconoscere di professare una religione del prendersi cura, dell’interessamento, del movimento di ricerca, del farsi vicino.

Così vicino che il vangelo ha usato una espressione pregnante: ha piantato la sua tenda in mezzo a noi, una figura che non solo evoca paesaggi nomadi e deserti sterminati attraversati da un popolo in cammino nella provvisorietà del viaggio, ma una figura, quella della tenda fra le tende, di una condivisione piena, di una concittadinanza alla pari, di una partecipazione a un destino comune. Con gli altri e in mezzo agli altri, senza pretese e senza privilegi. Viene in mente quello che scrive un autore anonimo, contemporaneo degli evangelisti quando presenta la forma di vita delle prime comunità cristiane: “abitando nelle città greche e barbare, come a ciascuno è toccato, e uniformandosi alle usanze locali per quanto concerne l’abbigliamento, il vitto e il resto della vita quotidiana, mostrano il carattere mirabile e straordinario, a detta di tutti, del loro sistema di vita: Abitano nella propria patria, ma come stranieri, partecipano a tutto come cittadini, e tutto sopportano come forestieri ; ogni terra straniera è loro patria e ogni patria è terra straniera. …” (A Diogneto 5)

Celebrare La nascita di Gesù è riconoscere nella fede cristiana la religione non tanto dell’essere, ma dell’esserci, dell’essere qui, dell’essere insieme, dell’essere dentro e presenti e partecipi, interessati e affascinati dalla vicenda umana.

E infine il natale parla di un bambino, un bambino reale, vero in carne ed ossa, magari denutrito o abbandonato o malato, o sporco che ha bisogno di protezione, di affetto, di accoglienza, ha bisogno di qualcuno che si prenda cura di lui e lo guidi verso il suo futuro, ma soprattutto che gli insegni a rimanere umano dentro il cinismo della vita, che gli mostri comprensione e tenerezza perché cresca in grado di sapersi commuovere davanti al dolore dell’altro e sappia che il silenzio di Dio può solo essere rotto e rappresentato dalla parola solidale dell’uomo.

“E il Verbo si fece carne e venne a a porre la tenda in mezzo a noi”

– di don Giovanni Perini –

 

Buon Natale da tutta la famiglia di Caritas Biella