Per La Pace
Beati gli operatori di pace, i costruttori di rapporti solidali rigeneranti. Beati quelli che lottano per la giustizia, per una equa distribuzione e fruizione dei beni della terra, perché davvero mai come ora la pace porta il nome di giustizia. La denuncia e il rifiuto della guerra non nascono da un vago e idealistico pacifismo. Si rifiuta la guerra perché non si può condividere né accettare le cause che l’hanno prodotta, come sopruso e ingiustizia, sfruttamento e sopraffazione. Se non si riesce a mantenere la pace, è perché prima si sono create condizioni ad essa sfavorevoli e si è lasciato, forse per interesse, forse per miopia del futuro, che si giungesse a un pericoloso punto di non ritorno.
Come si fa a coltivare la pace in un mondo così diseguale, dove pesantemente e scandalosamente regna la morte, per violenza, per distruzione, per inquinamento, per fame e miseria, per malattie, per ricerca sfrenata di denaro e potere, in un mondo dove sempre i più deboli pagano i prezzi più alti, come i bambini, le donne, gli stranieri, le minoranze di qualunque tipo, i paesi senza risorse. Ma la si deve rifiutare anche per le conseguenze che comporta, non solo nell’immediato, ma a lungi termine: distruzione, inquinamento, sfaldamento di stati e famiglie, ulteriore povertà e quel rancore che a volte si cova per generazioni tra uno stato e l’altro. Qui sta la radice incontestabile del rifiuto della guerra. Che ragionevolezza c’è nell’uccidere senza poter ridare la vita, nel distruggere per poi dover ricostruire, nello sprecare risorse economiche ingenti che avrebbero potuto essere impiegate per costruire case, scuole, ospedali, strade, industrie, nel rifiutare di intavolare un dialogo sincero per essere costretti a farlo prima o poi in mezzo a macerie e morti?
Sì, l’unica strada percorribile, a qualunque popolo o fede si appartenga è la strada di un nuovo umanesimo, della riscoperta e della cura della nostra qualità di umani, della fedele e reciproca responsabilità.
Sappiamo bene che nelle guerre si giocano interessi immensi e che i governi non sempre e non su tutto rappresentano la società civile di un paese. Le persone subiscono le decisioni di chi è al potere senza neanche avere il pudore di mandare al macello giovani del proprio paese.
Osiamo sognare, sperare e invocare come gridò Paolo VI proprio all’ONU: mai più gli uni contro gli altri, mai più gli uni sopra gli altri, mai più la guerra, mai più.
Ma per arrivare a realizzare quel grido si devono fare grandi riforme: quella dell’ONU stesso eliminando i diritti di veto dei vincitori e stabilendo una reale democrazia tra le nazioni, avere il coraggio di trasformare l’industria bellica e mettere al bando per sempre le armi. E questo a sua volta implica una nuova convivenza tra paesi e società dove si applauda al costruttore di pace e non al più potente del momento.
Don Giovanni Perini