Un’alternativa c’è

UN’ALTERNATIVA C’È
in occasione della Giornata Mondiale di Preghiera e Riflessione contro la Tratta di esseri umani – 8 febbraio

“Blessing non l’agganciamo di certo ora. Saranno necessari anni. Quando, all’ennesima notte di botte e umiliazioni, in strada, penserà di tornare a cercarci.”
Questo è ciò che ci dicemmo con una collega, ormai sei anni fa, in un ordinario giorno di lavoro, unite nella frustrazione di non capire come poter convincere una donna a entrare nelle nostre accoglienze.

Concretamente, dal 2019 ci occupiamo dello sfruttamento sessuale delle donne e delle loro accoglienze. Negli anni precedenti, ovvero dal momento dei primi consistenti arrivi di migranti sul nostro territorio (marzo 2014), le prime donne sbarcate passavano sotto i nostri occhi senza che avessimo nemmeno il tempo di capire che cosa stesse accadendo. Noi eravamo inesperte e la rete criminale in cui erano imbrigliate le ragazze, ben più scaltra di noi nell’applicare strategie internazionali, aveva ormai insegnato alle loro vittime come inventare risposte, ingannare le persone.

In questi ormai più di dieci anni di lavoro abbiamo visto passare, agganciare, ascoltare, accogliere decine e decine di donne. Donne sole, donne con bambine e bambini al seguito. Donne arrivate con l’inganno e, a volte, con la consapevolezza della vita che le aspettava, senza averne tuttavia mai potuto immaginare la violenza o la crudeltà.
Abbiamo accolto ragazze giovanissime, ascoltato l’inascoltabile, avuto paura con loro.

Le abbiamo viste arrivare dagli sbarchi dopo la Libia e l’inferno delle connection house. Le abbiamo viste rientrare in Italia dopo peregrinazioni di anni tra le periferie delle nostre città europee: Torino, Marsiglia, Parigi, Castel Volturno. Meraviglie per i turisti, per loro solo un secondo inferno.
“How is Marseille?” chiesi un giorno a una ragazza, durante un accompagnamento in ospedale.
“Very tough. Like hell.” Rispose sorridendo.

Ci siamo chieste come fosse possibile sopportare tanto. Ci siamo chieste come fosse possibile dover aspettare “l’ennesima notte di botte” prima di riuscire a convincerle che un altro modo di amare è possibile.

Qual è la chiave? Ci chiediamo ancora oggi. Cosa le aiuta a rifiorire? Cosa le convince a rimanere?
Come è possibile che ancora nelle ultime settimane due donne si siano allontanate dalle nostre accoglienze dopo mesi di lavoro insieme? Di una ricordiamo la tenacia, la bellezza, l’intelligenza. Dell’altra la paura, la stanchezza, la poca aderenza al mondo reale. E le sue due bambine al seguito.
Di entrambe, la pressione da parte di parenti esterni, di uomini convincenti e abusatori, di creditori che reclamano pagamenti, di nodi criminali che minacciano.

La verità è che non abbiamo risposte per convincerle a restare. Nate dalla parte sbagliata del mondo, la loro vita è iniziata in salita, perché vendute spesso poco più che adolescenti dalle famiglie conniventi con la tratta. E la vita continua in salita anche in Europa, che dovrebbe essere il continente dei diritti, come spesso ci ricordano gli stessi migranti. Perché i traumi non si superano facilmente, né è facile diventare adulte, scegliere di diventare madri, o non sceglierlo affatto ma diventarlo comunque, senza aver ricevuto un minimo di affetto, senza aver mai provato il rispetto o la stima. E non è facile sganciarsi dai propri punti di riferimento, anche se tossici e criminali e capaci di spremere fino alla fine.

Quello che però con convinzione proviamo a trasmettere nelle accoglienze, dove le ragazze trovano un rifugio (e quindi un posto protetto), insistendo, è la visione di un’alternativa. È mostrare, anche con la nostra pratica quotidiana di operatrici, l’alterità dell’amore e delle relazioni umane che hanno finora imparato, dominate troppo spesso da ciò che è proprio l’opposto dell’affetto: la violenza. È sedurle rispetto alla verità che vivere in uno spazio sicuro per loro stesse e per le loro figlie è il vero benessere, mentre dover sottostare alle imposizioni di altri, senza possibilità di scelta, è la vita in schiavitù. È dimostrare loro che è un diritto umano poter desiderare, ricercare la felicità, sentirsi protette, curate.

E in questo saremo tanto più credibili quanto più, come operatrici, organizzazioni, cittadini e cittadine della società civile, saremo disposti a lottare attivamente, esponendoci, per contrastare l’odiosa azione di prevaricazione di un essere umano su un altro essere umano.

Roberta Mo presidente di Maria Cecilia Società Coop. Sociale Onlus