Buonisti o realisti?
Molte sono le voci di che si sono levate in risposta al decreto sulla riforma dell’asilo (Decreto Salvini) segnalando “un passo indietro che non tiene conto da un lato delle vite e delle storie delle persone e dall’altro del lavoro di costruzione che da decenni tante organizzazioni umanitarie e di società civile hanno fatto in stretta collaborazione con le istituzioni e gli enti locali” (Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli).
Tra i primi a commentare la legge mons. Nunzio Galantino, che sottolinea un aspetto carico di significato: “Mi sembra strano che si parli di immigrati all’interno del Decreto Sicurezza. Inserirlo lì significa giudicare già l’immigrato per una sua condizione”.
Il primo punto del decreto a lasciare perplessi riguarda “l’arretramento sostanziale” dovuto alla riforma dello Sprar.
Lo Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), infatti, prevede l’accoglienza e un percorso di integrazione di rifugiati, richiedenti asilo e minori non accompagnati in appartamenti e piccole comunità e, grazie al suo carattere diffuso e al coinvolgimento delle comunità locali, non era stato pensato per gestire un’emergenza, ma per rendere autonome le persone.
Sottolinea Matteo Biffoni, delegato dell’Anci per l’immigrazione: “Con il ritorno ai centri di accoglienza straordinaria si tornerà a grandi concentrazioni di migranti che potranno generare più facilmente tensioni sui territori. Sono, infatti, proprio i centri come questi ad aver creato più malcontento tra la popolazione, per l’eccessivo impatto sulle comunità e la mancanza di adeguati percorsi di integrazione”.
Altro punto molto discusso è l’abolizione della protezione umanitaria:
“La questione è che diminuire le opportunità di ottenere la protezione umanitaria – aggiunge Oliviero Forti, responsabile immigrazione di Caritas Italiana – significa anche avere più persone irregolari sul nostro territorio. Fino ad ora era stata concessa come forma di protezione per le persone più vulnerabili che non avevano diritto allo status di rifugiato proprio anche per evitare l’irregolarità diffusa.
Un permesso che, trascorsi i due anni, nella maggior parte dei casi veniva convertito in permesso per lavoro. Sappiamo che con un diniego, alla fine, non vanno a casa – aggiunge – perché non ci sono accordi con i paesi di origine. L’idea che queste persone lasceranno l’Italia in seguito a un decreto di espulsione o a rientri forzati è quindi remota. Con il nuovo decreto tutte queste persone ce le ritroveremo per strada, senza dimora, facile preda di chi li vorrà sfruttare per lavorare e per farle entrare nel giro della criminalità. Non saranno più conteggiabili, niente più iscrizione anagrafica, niente lavoro regolare, e andranno ad alimentare il senso di insicurezza e illegalità che a quel punto non sarà più solo una percezione, ma diventerà un problema reale”.
Per non lasciarci guidare dalle paure cerchiamo di approfondire insieme alcuni punti critici del decreto:
Il comunicato di Caritas Italiana http://caritasbiella.it/?p=4153&preview=true
L’intervista a Luciano Gualzetti, direttore di Caritas Ambrosiana:
https://www.avvenire.it/attualita/pagine/decreto-salvini-contro-lintegrazione
L’intervista a Maurizio Ambrosini: https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/la-tutela-che-manchera