Coltiviamo la complessità
Una riflessione a seguito dell’incontro sul tema del carcere organizzato dai giovani dell’oratorio di Santo Stefano poche settimane fa.
È un sabato sera di inizio marzo, la sala dell’oratorio Santo Stefano è stracolma. Entrando, un ragazzo fissa stranito il crocifisso appeso alla parete e mi guarda. Si siede ed entrambi sorridiamo. In quello sguardo, simbolicamente, racchiudo il valore di quella serata a cui partecipano oltre 100 persone. L’intervento di Sonia Caronni, Garante dei diritti dei detenuti del Comune di Biella, si rivolge ad un pubblico certamente numeroso (più del previsto) ma soprattutto vario. Ci sono una cinquantina di giovani universitari, alcuni dell’oratorio, altri scout, altri impegnati in politica. Tanti che in un oratorio non ci sono mai stati. Ci sono volontari che quotidianamente entrano nella casa circondariale di via dei Tigli e cittadini che poche volte hanno approfondito il tema del carcere. Ci sono avvocati, laureandi in giurisprudenza e un giovane carabiniere. Ci sono anche due ex ospiti del carcere di Biella che hanno da poco concluso il loro percorso detentivo. Ed è questo, aldilà dei numeri, a riempire di senso la serata.
Perché in questi anni, nel percorso svolto all’interno della parrocchia, ci siamo più volte scontrati con la complessità che porta con sé il parlare di carcere. Confrontarsi sul fine rieducativo della pena, coinvolge parti di ognuno di noi che nascono da vissuti differenti (educazione, esperienze di vita, percorsi di formazione, professione) che incidono sulla volontà di affrontare ed equilibrare quella tentazione di giustizialismo che è latente in noi. La stessa tentazione cavalcata e sfruttata da quella narrazione semplicistica e superficiale sul tema del carcere (della sicurezza più in generale) a cui oggi spesso assistiamo nei talk show e nelle dirette Facebook dei politici. Una superficialità che nasconde ostilità, descrivendo spesso il carcere come unica risposta possibile alle nostre insicurezze e paure.
Per questo, la diversità dei partecipanti è stato il valore aggiunto di quell’incontro. Perché la sfida è quella di creare momenti di riflessione e opportunità di confronto che mettano al centro l’incontro tra le persone, le loro paure e le loro idee. Momenti in cui si dica con chiarezza che il sistema carcerario attualmente è spesso fallimentare e contrario al dettato della nostra Costituzione. E che questo non può non essere un problema che riguarda tutti noi. Allo stesso tempo però, momenti in cui con altrettanta chiarezza si affronti la complessità dei miglioramenti e delle alternative possibili percorribili e l’importanza del ruolo che svolge la comunità esterna al carcere, quindi ognuno di noi.
Un piccolo esempio l’ha portato la Garante, che ha concluso il suo intervento parlando di giustizia riparativa. Una forma di giustizia che mette al centro la partecipazione della vittima, de reo e della comunità civile e che mira alla ricostruzione del tessuto sociale incrinato dal reato. Una strada non percorribile in tutte le situazioni, ma un’alternativa possibile che per crescere ha bisogno di una comunità pronta. Coltiviamo la complessità per combattere l’ostilità e far sì che le alternative, i miglioramenti possibili, trovino giorno dopo giorno terreno sempre più fertile.
Luca Rondi